
Penso a chi avverte una forte ansia ogni volta che deve mettere piede a lavoro, o al pensiero che possa arrivare all'improvviso un nuovo attacco di panico, o tutti i giorni, per tutto il giorno, apparentemente senza un motivo. Penso a chi si ritrova ad affrontare la perdita di qualcuno a cui era legato o esce da una storia d’amore finita male, sentendosi triste, solo, a volte anche disperato. Penso a chi si sente un fallito, a chi si è perso, a chi si sente bloccato e impaurito, a chi non sa più che direzione dare alla propria vita, a chiunque, per qualche motivo, stia attraversando un periodo difficile.
In questi momenti, è naturale cercare conforto in familiari, amici, nelle persone più intime e vicine, con l’aspettativa più o meno segreta di sentirsi accolti, capiti, sostenuti.
Dall'altra parte, tuttavia, non è sempre altrettanto naturale, né semplice, essere di aiuto a chi si trova in difficoltà: ci si può sentire a disagio, non si sa cosa dire né quale sia la cosa migliore da fare.
Mossi dalle migliori intenzioni, si tende a procedere per prove ed errori, cercando soluzioni alla domanda: “che si dice in questi casi?”
Cosa dire per essere di aiuto?
Questo post l'ho scritto proprio per chi non ha ancora trovato risposta a questo quesito.
Per chi, quando si trova accanto a qualcuno in difficoltà, si sente in imbarazzo e allo stesso tempo spinto a dire qualcosa - qualunque cosa -, anche una di quelle frasi fatte e di dubbio aiuto che dicono tanti.
Per chi, non sapendo cosa dire, evita di incontrare chi sta male, così da non dover gestire il disagio che ne deriverebbe.
Le parole che non servono
Voglio partire dalle frasi più frequenti che chi vive o ha vissuto un momento difficile può essersi sentito dire – frasi dette con l’intento di essere di supporto, che nella pratica, però, difficilmente (o mai) si rivelano tali, provocando spesso l’effetto opposto e contribuendo a far accrescere il malessere dell’altro.
- Passerà. In alcuni casi è una previsione molto valida: quando si soffre a causa di una separazione o un lutto, ad esempio, all'inizio il dolore può essere così forte da togliere il fiato e poi ridursi progressivamente nell'arco dei 6-12 mesi successivi, man mano che l’esperienza viene elaborata. In altri casi non è affatto così: ad esempio, in presenza di vissuti ansiosi, depressivi, di fallimento e inadeguatezza costante, che non scompaiono con il passare dei mesi, ma al contrario possono peggiorare fino a cronicizzarsi in assenza di un aiuto professionale. In tutti i casi, generalmente questo incoraggiamento non aiuta a stare meglio: viene recepito da chi sta male come una svalutazione del proprio dolore (un po’ come: “che ne parliamo a fare, tanto passerà!”), rischiando di smuovere in lei o lui altre emozioni spiacevoli: solitudine, rabbia, incomprensione.
- Devi reagire. Spesso, questa esortazione sottintende la convinzione (diffusa, tra parecchie persone) che non sia permesso un tempo per la sofferenza. Il disagio deve essere superato nel più breve tempo possibile e chi sta male deve tornare di buono umore, performante, divertente, al più presto. Anche in questo caso, se da un lato chi esorta l’altro a reagire lo fa spinto dal desiderio di vederlo più sereno, dall'altro lato, chi sta male si sente spinto a stare velocemente meglio, mettendo da parte il suo malessere e registrando che non c’è spazio né per quello, né per lui, se sta male.
- Non essere così fragile. Questa indicazione nasconde l’idea che solo i fragili soffrono, e che per non soffrire, dunque, non ci si può permettere di esserlo. Spesso, questa frase viene vissuta come una critica al proprio modo di essere, e suscita un grande senso di inadeguatezza in chi sta male (e si sente fragile). Il messaggio recepito sarà duplice: non c’è spazio per il (tuo) dolore o difficoltà ed è necessario essere (e mostrarsi) forti a tutti i costi.
- Pensa a chi sta peggio di te! Anche attraverso questo consiglio il malessere dell’altro viene sminuito e non trova la giusta accoglienza.
- Non devi pensarci (o pensa solo alle cose belle!). Un suggerimento che svela l’illusione che concentrarsi sulle cose belle o evitare di pensare al problema, sia la soluzione a quel problema. Come se non vedere qualcosa che ci disturba, magicamente, lo facesse sparire. Se nell'immediato - per qualche minuto o ora - questo consiglio può rivelarsi efficace, non è affatto risolutivo: il dolore sarà sempre lì, dove chi lo ha evitato per un po’, lo aveva lasciato.
La verità è che se non hai ancora trovato una risposta alla domanda “che si dice in questi casi?”, è solo perché non esiste. Non esistono frasi preconfezionate da dire, modi di essere da suggerire o azioni precise da eseguire quando si sta accanto a qualcuno in difficoltà.
Cosa fa la differenza, davvero
Se vuoi essere di aiuto per chi sta vivendo un momento difficile, però, ci sono due cose per niente scontate che puoi fare: esserci con tutto te stesso e tentare di metterti nei suoi panni.
Chiediti come ti sentiresti tu se fossi al posto suo, piuttosto che dirgli come dovrebbe sentirsi. Quali gesti o parole ti farebbero sentire meno solo con la tua sofferenza, mettendo in conto che potrebbero non essercene.
Chiedigli cosa puoi fare per essergli di aiuto, piuttosto che decidere tu cosa è meglio per lui.
E se nonostante tutto questo, temi di non sapere cosa dire o fare per aiutarlo, semplicemente ascolta e stai. In silenzio, se occorre, e insieme.
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Sono Liria Valenti, psicologa e psicoterapeuta.
Mi piace accompagnare le persone in percorsi di cambiamento,
aiutandole a sentirsi padrone della loro vita e a fare scelte consapevoli e felici. Del mio lavoro amo: ascoltare, (ri)costruire, emozionarmi.