Ascolto spesso intorno a me, dentro e fuori la stanza di terapia, difficoltà legate alla tendenza a rimandare nel tempo azioni, decisioni, incombenze, incontri, persino intenti, che suscitano ansia o che determinerebbero un cambiamento di qualche tipo. Che si tratti dell’iscrizione al corso di yoga o della prenotazione di una visita medica, ma anche dello studio per un esame universitario, della ricerca di un nuovo lavoro o del momento in cui parlare con il partner dei propri problemi di coppia; ogni volta procrastinare regala brevi ma intensi istanti di sollievo e una momentanea condizione di calma e serenità.
Ciò di cui dobbiamo occuparci viene rimandato, insieme a tutte le emozioni ad esso legate e ai significati che lo investono. Il contraccolpo arriva dopo, generalmente nel momento in cui ci ritroviamo dinanzi all’urgenza di occuparci di quella faccenda, o semplicemente all’istante in cui lo inseriamo per l’ennesima volta nella to do list della giornata: fa capolino l’ansia, la preoccupazione, il senso di inconcludenza, a volte l’irritazione e la frustrazione.
A un livello puramente cognitivo, il più delle volte sono note le conseguenze pratiche della scelta di procrastinare e può succedere che questa consapevolezza spinga a cercare strumenti concreti per smettere di farlo, come metodi per organizzarsi meglio, supporti digitali o cartacei in cui differenziare liste e scadenze. Tutte ottime strategie che però non agiscono su quel che si muove dentro di noi e che ci porta a procrastinare, spesso rivelandosi per questo motivo inefficaci e contribuendo anche ad aumentare i livelli di ansia e alimentare un pesante dialogo critico interiore.
Perché procrastiniamo?
Mi sembra diffuso il pensiero secondo cui tendiamo a procrastinare qualcosa che non ci piace, verso cui non nutriamo interesse, per il quale non siamo dunque motivati ad attivarci. Se possiamo trovare un riscontro di questa lettura in alcune situazioni specifiche (come ad esempio il carico delle faccende domestiche per molte persone), può risultare rischioso applicarla a tutte le situazioni in modo indiscriminato. Ad esempio, quando si procrastina la ricerca di un lavoro o la cura delle proprie difficoltà di coppia, dove spesso è proprio il desiderio che le cose vadano bene ad avere un ruolo nell’evitamento del problema.
Procrastinare per paura
Quando rimandiamo qualcosa a data da destinarsi, spesso evitiamo di fare i conti con la paura che quella faccenda suscita in noi.
Procrastinare la ricerca di un nuovo lavoro, ad esempio, potrebbe essere il modo che abbiamo trovato per proteggerci dal timore di andare incontro a un’esperienza avvertita come fallimentare. Allo stesso modo, evitare di affrontare i propri problemi di coppia a volte protegge dalla paura che qualcuno dei due resti ferito o deluso, o che la relazione finisca.
Procrastinare per tenersi al sicuro
Se da un lato agire invece di procrastinare può aiutarci a raggiungere dei risultati desiderati, dall’altro potrebbe metterci dinanzi a qualche cambiamento significativo, e quindi non familiare né comodo per noi persone, che tendiamo a stare e muoverci verso quel che ci è noto e per questo, in qualche modo, confortevole e sicuro.
Cercando un nuovo lavoro, ad esempio, potremmo rischiare di trovare qualcosa che faccia finalmente al caso nostro, mettendoci di fronte a un’immagine nuova di noi: per la prima volta soddisfatti di quel che abbiamo e facciamo.
Comprender(si), per cominciare
Ci muoviamo spesso secondo la logica del se vuoi, puoi, e questo può spingerci a forzarci a fare senza chiederci perché facciamo tanta fatica a farlo.
Comprendere cosa accade dentro di noi, allora, può diventare fondamentale per darci la possibilità di fare altro o farlo diversamente, se i modi in cui ci muoviamo nella nostra vita sono diventati un ostacolo invece che uno strumento per procedere.
[Ho scritto questo post nel 2017, e l’ho rivisto, aggiornato e arricchito quattro anni dopo]
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