Non riuscire a godere dei propri successi: perché succede?

29 Gennaio 2021

Può trattarsi di un bel voto preso a un esame, un progetto lavorativo che ha portato i risultati sperati, un importante traguardo personale, persino una relazione di coppia solida e amorevole: il punto è che, a prescindere da quanto costruito, vissuto o conquistato, l’emozione che accompagna queste situazioni è un misto di insoddisfazione, scontentezza e indifferenza.

Dinanzi a un presunto successo, ci si sofferma più a pensare a cosa si sarebbe potuto fare di più o meglio in quella situazione, che a quel che si sta effettivamente vivendo o che è stato realmente raggiunto. Rimanendo sintonizzati, così, sulla convinzione che in fondo, ciò che si fa o si ha, per quanto piacevole o in linea con i propri desideri, non è (mai) abbastanza per sentirsi fieri e soddisfatti.

Questo è anche il motivo per cui si tende a proiettare i propri pensieri più sui piani futuri che sugli eventi del presente: non appena raggiunto un obiettivo, si pensa già al prossimo, senza darsi neanche un momento per sentirti contenti di sé e gioire di quel piccolo o grande risultato.

Insomma, sentirsi meritevoli di un successo non è una possibilità contemplata, e quando lo è rimane un desiderio di difficile realizzazione. È una condizione che vive anche chi soffre della sindrome dell’impostore e razionalmente riconosce di aver raggiunto un dato risultato, mentre sul piano emotivo vi rimane indifferente, come se non lo riguardasse personalmente o si trattasse di un evento fortunato, di facile riuscita, scontato, che è avvenuto come da programma e di conseguenza non genera emozioni.

Si tratta di un processo di autosvalutazione, a causa del quale non ci si riconosce valore o specifiche risorse e competenze, né il proprio contributo al buon esito di una qualsiasi prestazione e situazione.

I motivi per cui succede possono essere tanti e diversi; in fondo, ogni persona lo è, così come la sua storia. Per questo, condivido qui qualche ipotesi e nessuna verità assoluta, attingendo alla mia esperienza clinica e ad alcune delle storie che ho accolto mentre accompagnavo i miei pazienti nei percorsi di terapia.

Ci trattiamo come siamo stati trattati

Tendiamo a rivolgerci le stesse parole e gli sguardi che abbiamo ricevuto, a nutrire le stesse aspettative che i nostri punti di riferimento nutrivano nei nostri riguardi, a trattarci come siamo stati trattati.

È nella relazione con gli adulti per noi importanti che, fin da piccini, costruiamo l’idea di noi e di ciò che siamo degni di ricevere. Così, se nel corso del tempo, cogliendo e interpretando le loro parole, i loro sguardi, i silenzi, le reazioni, prende forma la convinzione che ciò che si fa o ottiene, per quanto elettrizzante, non è mai abbastanza per ricevere un riconoscimento di valore, può darsi che rimanere indifferenti dinanzi ai propri successi diventi l’unica opzione possibile.

In tal modo, però, non si corre solo il rischio di perdere di vista le proprie capacità, ma anche di trasformare i buoni risultati in azioni qualunque, mantenendo un atteggiamento svalutante nei propri confronti, ignorando i propri sforzi e sostenendo l’idea di non valere abbastanza.

Quando occorre fare i conti con l’imperfezione

Fin da piccoli tendiamo a far nostre le aspettative che percepiamo abbiano nei nostri riguardi le figure per noi importanti, ma cosa succede quando queste aspettative sono tante e anche eccessivamente elevate – in poche parole, impossibili da soddisfare?

È quel che capita quando, ad esempio, un genitore incoraggia il proprio figlio ribadendo più volte che è talmente intelligente, brillante e speciale, che può realizzare tutto ciò che vuole e anche senza sforzo. Nella pratica, poi, difficilmente accadrà. Perché come tutti, quel figlio non sarà perfetto né perfettamente prestante: incontrerà difficoltà, si accorgerà che non è sempre così facile ottenere quel che desidera, farà errori, si sentirà frustrato e potrebbe generalizzare le esperienze eguagliandole tutte tra loro, a prescindere dal livello di prestazione raggiunto, dubitando di sé e delle proprie reali capacità.

Fare i conti con le proprie imperfezioni può essere parecchio faticoso se fin dalle prime relazioni significative si è respirata un’immagine di sé perfetta e infallibile, che nel tempo è diventata la propria. Si rischia di continuare a rimanervi fedeli, rinunciando a ridimensionare gli standard di perfezione e gioire anche dei risultati che non rispettano quei criteri.

Comprendere cosa è stato per iniziare a cambiare cosa sarà

Sapere perché si fa fatica a concedersi riconoscimenti o perché si pretende così tanto da sé stessi, è utile nella misura in cui permette di dare un significato alla difficoltà sperimentata ancora oggi, ossia il trattamento svalutante che si è soliti riservarsi, anche quando si vorrebbe invece riconoscersi meriti e goderseli anche.

In terapia, comprendere da dove arriva la modalità di essere scontenti dei propri risultati o persino di ignorarli, si rivela importante per farci i conti e poi anche la pace. Perché consente di trovare risposte, creare nessi, elaborare le emozioni rimaste incastrate in quei momenti, quegli scambi relazionali, quei ricordi. E poi procedere oltre, e anche diversamente se lo si desidera.

Insomma, darsi la possibilità di cogliere come mai è così difficile essere fieri di quel che sei in grado di fare, aiuta a cercare e accogliere un’alternativa nel presente, e scegliere con quali occhi guardarsi, quali parole dedicarsi, come accogliere i propri errori e anche i propri successi.

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Liria Valenti, psicologa e psicoterapeuta

Liria Valenti, psicologa e psicoterapeuta

Aiuto le persone a sentirsi padrone della loro vita e a fare scelte più consapevoli e felici. Lo faccio accompagnandole in percorsi di psicoterapia individuali e di coppia costruiti su misura per loro, nel mio studio a Roma (quartiere Trieste) e online.

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