Mentre lavoro mi capita spesso di notare come le persone che raccontano il loro modo di essere, descrivano una loro risorsa come un limite. A volte, quel limite è vissuto come un vero e proprio problema, e in alcuni casi è talmente difficile conviverci da trasformarsi nel motivo che li spinge a rivolgersi a me e richiedere il mio aiuto per superarlo.
Essere molto sensibili è uno di questi casi. La sensibilità, percepita come eccessiva, viene vissuta come una sorta di prigione, che impedisce di mostrarsi autenticamente agli altri e di agire liberi dal timore del giudizio esterno.
Ma cosa succederebbe, invece, se proprio quegli aspetti di sé, vissuti come pesi da arginare, si rivelassero alcune delle proprie sfaccettature più potenti, da accogliere e valorizzare?
Persone troppo emotive
È senz’altro una delle narrazioni che ho ascoltato più spesso. Le persone molto sensibili possono reagire alle esperienze in modo emotivamente intenso. Possono esultare o commuoversi dinanzi a uno spettacolo della natura o a un’opera d’arte; dinanzi a un torto, una delusione, una critica, in genere piangere è la loro reazione più immediata, che sfugge anche all’autocontrollo più severo. Di solito, il contesto non aiuta: il pianto e le lacrime vengono spesso classificate come un segnale di debolezza, che a sua volta ha un’accezione negativa.
Mostrare un comportamento spontaneo, come quello di piangere davanti a un pubblico che osserva o di entusiasmarsi in mezzo a una folla composta, diventa allora un gesto eccessivo, per cui scusarsi e a causa del quale sentirsi inadeguati, inappropriati, fuori posto.
Ma la sensibilità emotiva, che nella società in cui viviamo abbiamo imparato a etichettare come troppa solo per il fatto che ci sia, e che viene vissuta come un limite per così tante persone, è in realtà alla base dell’empatia, una delle abilità relazionali più importanti, specialmente per chi è interessato a entrare in connessione con gli altri e instaurare rapporti profondi e intensi.
Chissà come sarebbe, allora, se le persone sensibili si riconoscessero di essere empatiche, e iniziassero a guardare la loro ipersensibilità come una preziosa qualità relazionale.
Non riuscire a fregarsene
Chi è tanto sensibile è anche molto ricettivo a tutto quel che accade intorno a sé, e particolarmente attento a eventuali commenti critici. E prendersela troppo per quanto visto e sentito, non riuscendo a vivere in modo spensierato e con leggerezza, è forse una delle critiche più severe che le persone ipersensibili si rivolgono, oltre che uno dei motivi per cui vengono facilmente giudicate dagli altri. Allo stesso tempo, non essere toccati dagli eventi spiacevoli o da quello che dice la gente, diventa non solo un obiettivo desiderabile, ma anche una valida soluzione al problema di essere troppo sensibile.
Un obiettivo, però, che presuppone un disinteresse per quanto va oltre sé stessi, e anche che possa esistere un interruttore interno grazie al quale spegnere il proprio mondo emotivo e scollegarsi da esso – entrambe condizioni alquanto irrealistiche per noi persone, che, per natura, siamo motivate a stare in relazione e nutriamo il bisogno di essere importanti (anche) per qualcun altro.
Vale la pena, allora, guardare la propria incapacità di infischiarsene da un’altra prospettiva. Riconoscerne il valore relazionale, di chi è attento alla cura delle relazioni e una presenza attiva e affidabile. E quello personale, di chi tiene in conto che il bisogno di essere visti e valorizzati è parte della natura umana.
Esseri fragili che soffrono troppo
Avere un sistema percettivo più complesso rende più sensibili alle stimolazioni ambientali, e di conseguenza anche più vulnerabili allo stress, i sovraccarichi, le esperienze dolorose o faticose. Per questo motivo, le persone sensibili si sentono fragili, più degli altri.
C’è questa idea con cui siamo cresciuti, che soffrire per un tempo classificato come più lungo rispetto a quanto crediamo opportuno, equivalga a soffrire troppo, per troppo tempo, e che questa opzione sia prerogativa delle persone fragili, che si spezzano facilmente.
In realtà, soffrire è parte della condizione umana e i tempi e i modi in cui lo facciamo, in cui viviamo, elaboriamo ed esprimiamo le nostre esperienze emotive, sono soggettivi e come tali meritano rispetto.
Ecco perché, contrariamente a quanto sostenuto dalle credenze comuni, la vulnerabilità delle persone più sensibili, se riconosciuta e accolta, può rivelarsi un grande punto di forza. È proprio quando ci si concede di essere vulnerabili che ci si può ascoltare e leggere dentro, si possono riconoscere le proprie emozioni e dar loro spazio, si può stare in compagnia di sé stessi in modo autentico e darsi la possibilità di rendersi consapevoli di sé e del proprio mondo interno: un’ottima base da cui partire per avere cura di sé, nella propria vita.
[Ho scritto questo post nel 2018, e l’ho rivisto e arricchito tre anni dopo]
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