Stare accanto ed essere di aiuto a chi sta male non è sempre semplice. Ci si può sentire impotenti e a disagio, ci si chiede quale sia la cosa migliore da dire o fare e spesso, mossi dalle migliori intenzioni, si tende a procedere per prove ed errori, pur di non restare fermi e in silenzio. A volte, non sapendo cosa dire, ci si ritrova a evitare di incontrare chi sta male, per arginare il senso di imbarazzo e smettere di chiedersi: che si dice in questi casi?
Le parole che non servono
Alcune delle frasi che chi vive o ha vissuto un momento difficile può essersi sentito dire vengono pronunciate con l’intento di essere di supporto e incoraggiamento. Nella pratica, però, difficilmente si rivelano tali, provocando spesso l’effetto opposto e contribuendo a far accrescere il malessere di chi sta male.
Tra le esortazioni più frequenti:
- Passerà. In alcuni casi è una previsione molto valida: quando si soffre a causa di una separazione o un lutto, ad esempio, all’inizio il dolore può essere così forte da togliere il fiato e poi ridursi progressivamente nell’arco dei 6-12 mesi successivi, man mano che l’esperienza viene elaborata. Saperlo a volte è di sollievo. In altri casi non è affatto così: ad esempio, in presenza di vissuti ansiosi, depressivi, di fallimento e inadeguatezza costante, che non scompaiono con il passare dei mesi, ma al contrario possono peggiorare fino a cronicizzarsi in assenza di un aiuto professionale. In tutti i casi, anche quando il dolore passerà con il passare del tempo, in quel momento c’è. Ecco perché generalmente questo incoraggiamento non aiuta a stare meglio; piuttosto, la persona può sentire svalutato il dolore che prova, sentendosi incompresa e sola.
- Devi reagire (o essere forte). Spesso, questa esortazione sottintende la convinzione (diffusa, tra parecchie persone) che non sia permesso un tempo per la sofferenza. Il disagio deve essere superato nel più breve tempo possibile e chi sta male deve tornare di buonumore, performante, divertente, al più presto. Anche in questo caso, se da un lato chi esorta l’altra persona a reagire lo fa spinto dal desiderio di vederlo più sereno, dall’altro lato, chi sta male si sente spinto a stare velocemente meglio, mettendo da parte il suo malessere e registrando che non c’è spazio né per quello, né per sé, se sta male.
- Non essere così fragile. Questa indicazione nasconde l’idea che solo le persone fragili soffrono, e che per non soffrire, dunque, non ci si può permettere di esserlo. Spesso, questa frase viene vissuta come una critica al proprio modo di essere, e suscita un grande senso di inadeguatezza in chi sta male e si sente vulnerabile. Può essere recepito un doppio messaggio: che non c’è spazio per il proprio dolore o difficoltà e che è necessario essere (e mostrarsi) forti a tutti i costi.
- Non devi pensarci (o pensa solo alle cose belle!). Un suggerimento che svela l’illusione che concentrarsi sulle cose belle o evitare di pensare al problema, sia la soluzione a quel problema. Come se non vedere qualcosa che ci disturba, magicamente, lo facesse sparire. Se nell’immediato, per qualche istante, questo consiglio può rivelarsi efficace, non è affatto risolutivo: il dolore sarà sempre lì, dove chi lo ha evitato per un po’ lo aveva lasciato.
Esserci, con empatia, senza pretese
Di fatto, per essere di supporto a chi sta male, non esistono frasi preconfezionate da dire, modi di essere da suggerire o azioni precise da eseguire.
Quello che conta è esserci, empaticamente, senza pretese.
Per mettersi nei panni dell’altra persona, chiederci come ci sentiremmo noi al suo posto e cosa vorremmo sentirci dire o che l’altro facesse, potrebbe non essere sufficiente, seppur rappresenti un ottimo punto di partenza se si vuole stare accanto a chi soffre. Ogni persona è diversa e quel che potrebbe essere di aiuto per noi, non è detto vada bene anche per qualcun altro. Esserci con empatia, dunque, potrebbe voler dire anche esserci in silenzio, può darsi in ascolto, senza aspettarsi alcun cambiamento nell’altro, o nessun cambiamento nei tempi giusti per noi.
Cogliere i bisogni e i desideri delle altre persone non è cosa facile, e indovinarli non è obbligatorio: si può chiedere. Di cosa hanno bisogno, come si può essere di aiuto, se si può restare o è meglio andare.
[Ho scritto questo post nel 2019, e l’ho rivisto, aggiornato e arricchito tre anni dopo]
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